E IL MIO PENSIERO VOLA VERSO TE..... parte prima





un paio di mesi fa è morta una mia carissima amica. avrei voluto parlarne allora, avrei voluto sedermi
alla tastiera alle 12,50 di quel 14 maggio, quando mi ha telefonato mia sorella per comunicarmi che era spirata, avrei voluto poter scrivere quello che stavo provando. ma non ho potuto farlo. non ho potuto fino ad oggi, perché di giorno, quando mi aggiro per la mia vita con la solita faccia, non riesco veramente a credere che lei sia morta, che non ci sia più in fondo a quella stradina vicino all'Albina, non riesco a credere che dall'altra parte del telefono non risponde nessuno perché non ce più nessuno che mi possa rispondere. sono così incapace di crederci che, quando non ce la faccio più le scrivo ancora dei messaggi su whatsap, anche se non mi aspetto una risposta, un po come se la mia parte cosciente lasciasse spazio al mio inconscio che sbrocca duro e poi torna buono buonino al suo posto. e non l'ho fatto la sera perché, quando mi stendo nel letto, la sera, al buio, quando non ci sono più rumori o parole che mi tengano la mente occupata, quando spero di chiudere gli occhi senza avere il tempo di fare altro che addormentarmi, a volte il sonno non è così rapido, e allora arrivano i film della mia testa, in cui rivedo tutte le mattate che abbiamo fatto assieme quando eravamo due ragazzine senza un briciolo di serietà, tutte le esperienze, tutti i discorsi, tutto quello che ci siamo dette, dove e quando. mi tornano di fronte agli occhi cose che magari pensavo che il mio cervello avesse dimenticato, o cose che ricordavo benissimo, situazioni, momenti. e allora comincio a piangere e devo cercare di farlo in silenzio perché altrimenti il mio LUI si impanica perché continuo ad essere depressa e non esco da sta spirale maledetta cominciata tre anni fa, e va be non stiamo parlando di me, ma di lei.
che si chiamava Cinzia, ed era una brava persona. un po sfortunata, ma che non si è mai lamentata in fondo se non qualche volta, quando eravamo sole io e lei, o quando ci scrivevamo. 
e quello che più mi fa male è che tutto quello che è stata, che abbiamo fatto, che lei ha fatto per me, con me, tutto quello che ci siamo dette, che abbiamo visto assieme, tutte le nostre esperienze, andranno perse con me, perché ne io ne lei abbiamo messo al mondo quelle specie di portadocumenti storici che sono i figli, perché non ci interessava  creare altri giovani disadattati, depressi e disoccupati che se ne andassero in giro per il mondo, al solo scopo di lasciare una nostra traccia.
e non è giusto che la sua memoria venga lasciata morire così, senza figli o nipoti che possano un giorno dire lo sai che assomigli a...
però ora c'è questo mezzo, questa specie di imperituro muro del pianto, su cui cui scolpire un qualcosa dedicato a, che so, il coprolite di gatto mangiato ieri sera dal cane del vicino, e quello che hai scritto rimarrà per sempre, tra le pieghe della rete. e allora perché non lasciare che anche il suo ricordo rimanga per sempre qui, dove magari, tra qualche anno, qualcuno ci capiterà per caso giracchiando tra vecchi blog, e leggerà il suo racconto, e porterà  il suo ricordo avanti per un'altro poco, e dove non possa essere cancellato. o magari a perdersi nel immenso mare nostrum di racconti, cazzate, ricette e farneticazioni che milioni di altri scriveranno, ma rimarrà comunque li.
e allora, per quei pochi lettori fedeli, che di volta in volta aspettano la mia fatica, mettetevi comodi perché potrebbe essere un esercizio di memoria piuttosto lunghetto, che potrebbe anche contenere tante piccole divagazioni, ma che non può essere lineare e conciso se vuole anche tratteggiare il periodo in cui si svolge, perché chiunque ha una sua valenza diversa a seconda del periodo in cui vive e si muove.
e questa storia comincia tanti, ma tanti anni fa, quando il mondo era veramente del tutto differente, tanto che se un millenial qualsiasi o peggio ancora un pischelletto di 14, 15 anni ci si trovasse catapultato potrebbe non sapere manco come andare avanti.


perché il mondo era differente, profondamente differente. affrontavi la prima superiore come un passo enorme verso l'età adulta, ma da bambino praticamente, tanto che alcuni di noi avevano ancora i giocattoli in borsa alle medie, e questo nuovo mondo invece, le superiori, ti introduceva in luoghi che avresti condiviso con persone di 18, 19 anni, gente adulta ai nostri occhi. io poi venivo veramente da una realtà diversa perché gli ultimi anni di scuola li avevo fatti in campagna, con una scuola di una mentalità che dire ristretta gli si fa un complimento.
ricordo ancora il tipo grande e grosso, che al cancello chiedeva il pizzo a tutte le matricole del primo anno; mi avvicinai con timida incoscienza e dissi :"scusi, per entrare all'Istituto tecnico devo pagare a lei??"
LEI capite. avevo dato del lei ad uno di 18 anni che mi guardò come fossi una povera ritardata, passata per caso, e mi diede il biglietto per il libero ingresso, senza obolo poco volontario degli studenti di prima alla gira di quelli di quinta, più per pietà che per schifo, almeno ho sempre pensato così.  
questo il terreno in cui mise radici la nostra amicizia. eravamo compagne di classe in una scuola tecnica a maggioranza maschile, e quando dico maggioranza intendo che eravamo in tre femmine su 800 studenti. perché all'inizio eravamo i tre moschettieri senza la sorpresa. eravamo io, quella che se non fosse stata così grossa magari sarebbe stata anche umana ma che nel frattempo era chiamata "bove muschiato", Cinzia, quella alta come una pertica, secca come una pertica che chiamavano "pertica", e
Gloria, alta la metà di me, larga non il doppio ma parecchio e morbida come una bublegum alla fragola, un trio vincente come si può capire. all'inizio ci stavamo cordialmente sui coglioni. non ricordo assolutamente perché ma poi la forza della disperazione creo tra di noi la classica coesione dei naufraghi sulla zattera, unite contro i pescecani della nostra classe, e di quelle altre se è per quello.
non fu facile, e noi probabilmente non facemmo molto per renderlo più facile. si potrebbe dire che fu un mezzo disastro per essere precisi, visto che facemmo due volte la prima e due volte la seconda, tutte e tre. furono anni di grandi seghe, legate a scioperi e altre manifestazioni che non richiedevano giustificazioni. conoscevamo la città centimetro per centimetro, ma siccome non avevamo mai il becco di un quattrino in tasca, se non qualche volta, non  andavamo nel locale del biliardo, dove andavano gli altri, ne al bar, dove se non consumi ti guardano male. e non eravamo a Roma dove dite che fa freddo a 18 gradi. eravamo a Grosseto dove, d'inverno, se gli gira, ti svegli che sembra aver nevicato, ed invece e tutto ghiaccio che si è formato nella campagna attorno a Grosseto, e che ti taglia le mani se viaggi senza guanti.
quindi per non patire troppo il freddo andavamo nei soli posti che potevi frequentare senza che nessuno ti dicesse nulla perché di gente che perdeva tempo li dentro ce ne stava una marea. 
La Standa  e Il negozio di giocattoli di Grosseto, L'Andreini Giocattoli.
conoscevamo a memoria gli scaffali di questi due negozi, perché ci passavamo un sacco di tempo a guardare cose che poi non potevamo comprare. quante volte ci siamo dette che avremmo potuto lavorare come commesse vista la conoscenza delle merci e la loro distribuzione.  a volte ci fermavamo a mangiare qualcosa in un bar, ma più spesso, come avevamo fame, all'alimentari della Standa, che costava meno di una pasta ed era quantitativamente di più.
mi ricordo ancora una mattina che avevamo fame e ci comprammo una colomba, che poi ci dividemmo, sedute su una scalinata li vicino, con un cane randagio che pareva avere fame quanto noi. 
ragazzini di oggi non si rendono conto della libertà di cui potevamo godere noi, nel tempo dei telefoni a filo. i genitori non ti potevano rintracciare con nessuna app, non ti potevano chiamare dovunque e comunque, e soprattutto non eravamo costrette e chiamare noi loro,"per non farli preoccupare".
quando andavamo in gita scolastica ci veniva detto "chiama solo se succede qualcosa. se non ti sento allora va tutto bene". Oggi mia madre se non la messaggio, almeno una volta al giorno, si sente trascurata, ma per anni se la contattavo si preoccupava. come cambiano le cose vero?
e comunque queste erano le mattinate di due ragazzine solitarie in una città di periferia come era Grosseto, piccola e con poche possibilità. il museo di storia naturale, piccolo e polveroso, quello archeologico, che ancora non era in fiore al'occhiello della città che è oggi, e qualche cinema. poco altro per noi giovani di allora.
e noi due crescemmo in quella epoca di molta fantasia, anche se avevamo Cinzia, che in confronto a noi era una donna vissuta, perché lei conosceva Vasco Rossi, e ci raccontava di quando andava a casa sua o ai suoi concerti. oppure per passare il tempo, pedinavamo i ragazzi che ci piacevano, parlavamo di racconti di fantascienza che leggevamo o di quelli che ci sarebbe piaciuto scrivere, di quello che non ci andava a scuola, di quelli che ci stavano antipatici... parlavamo un sacco di tutto, dappertutto, almeno fino all'ora di saltare di nuovo sul pullman e tornare a casa, cosa che che io e cinzia continuavamo a fare assieme almeno fino a casa mia, dove a volte scendevo da sola, spesso con lei, spesso non scendevo per andare io da lei.
in quel lungo periodo passammo spesso le nostre giornate una a casa dell'altra, a giocare a chiacchierare, a scrivere a studiare.
andavamo in esplorazione, specie a casa sua dove c'erano delle case disabitate, o nel parco che c'era vicino al golfo di Orbetello, che arrivava fin quasi sotto a casa sua.o al maneggio, dove quando mettevamo assieme abbastanza soldi andavamo a cavallo, e ci divertivamo.
quante cose abbiamo fatto assieme, anche uscire di notte dalla finestra della cucina di casa sua, per andare a piedi, in camicia da notte, fino al parco, in fondo alla strada. perché? e chi lo sa, ci sembrava divertente farlo. ci riempivamo di graffi con i rovi, specie, quando dovevamo nasconderci perché arrivava qualche coppietta per amoreggiare li nella boscaglia. a quel punto passando in mezzo a rovi e ortiche, scivolavamo fuori e tornavamo a casa, tutte divertite come avessimo fatto chissà che cosa, andando fil ma per scorticarci. eppure qualche notte dopo lo facevamo di nuovo. 
d'estate soprattutto, è chiaro, e spesso spinte dal caldo che non ci faceva dormire.

alla fine di quattro anni piuttosto difficili, in cui riuscimmo a farci bocciare e rimandare, almeno una volta per anno, approdammo nel quinto anno del chimico di Manciano. che scelta pessima che facemmo. o meglio che io feci. a livello pratico ero anche brava ma a livello teorico le mia capacità di calcolo non erano assolutamente, migliorate, ma nel frattempo avevamo raggiunto la maggiore età, e non dovevamo più aspettare che ci fosse uno sciopero, una riunione o qualche scusa di scuola per uscire di classe ed andarcene in giro per la città. 
la cosa positiva era che potevamo fare tutte le assenze che volevamo e ce le saremmo firmate da sole, la
cosa negativa è che Manciano non offriva assolutamente nulla, e se a qualcuno Grosseto sembra una cittaduncola di provincia, dovrebbe provare a trovare qualcosa di divertente da fare a Manciano per poi dirmi quanto pensa sia divertente Grosseto. purtroppo le mie difficoltà nella nuova scuola erano veramente fortissime, e la mia voglia di frequentare direttamente dipendente dal mio interesse. quindi cominciammo a fare qualcosa che a detta di tutti i nostri compagni di class era da matti: scendevamo da Manciano a piedi, anche perché l'unico pullman in discesa era dopo un'oretta dalla fine della scuola.
e che camminate ci siamo fatte in quell'anno.
ora di camminate in discesa, verso l'Albinia, lontana una infinità, seguendo la strada o tagliando per questo o quel campo, a volte tranquille, a volte con una fame che ci portava via, ma sempre divertite in fondo da quella nuova avventura che affrontavamo.
e spesso si trattava proprio di avventure. come quella volta che eravamo così affamate che ci mangiammo di funghi che trovammo in un campo, sperando che non fossero avvelenati, o quella volta che ci ritrovammo in un campo di maiali, e vista l'improvvisa compagnia, cominciammo a guadagnare il recinto con tutta la fretta possibile ma in silenzio. o quando pensavamo di esserci perse perché non trovavamo più la strada.
ma i pezzi più strani erano quelli di quando riuscivamo ad ottenere un passaggio da una rara macchina di passaggio.
abbiamo incontrato i tipi più strani del pianeta, ne eravamo convinte. come la tipa con la cinquecento che spegneva il motore in discesa per risparmiare in benzina. o quello con la faccia da maniaco che andava in giro con la maglietta arrotolata sulla pancia e la pelata sudatissima, o quello che ci caricò con una jeep che all'esterno era più lussuosa di una mercedes, con i sedili rivestiti di vello di pecora e il cambio con il pomolo in radica. e altre che non ricordo ma che erano altrettanto strane.
quell'anno fini prima per me, perché non riuscivo a reggere lo sforzo di alzarmi alle tre di mattino, solo per poi arrivare alla scuola e cercare di scappare. mi ritirai a metà dell'anno, mentre lei continuò e in maniera molto più proficua di quando c'ero io, tanto che lei riusci a prendere il diploma di perito chimico. 
e li ci divideremmo. almeno fisicamente.
per oggi fermiamoci qui. poi continueremo
besos.


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