straniera in terra natia

quello che sto per scrivere può ferire la sensibilità di qualcuno, quindi lo avverto che può trovare tematiche un poco razziste.
ci sono delle volte in cui mi aggiro per la città e mi rendo conto di una tristissima verità: sto perdendo le mie sicurezze. non quelle personali, ma quelle legate alla mia identità come abitante di Roma, Italia, Europa.
mi aggiro per strade che sono sempre più percorse da persone il cui aspetto, i cui odori, la cui lingua, sono cosi distanti dal mio comprendere da farmi paura solo per la loro differenza, e mi sento nello stesso tempo spersa, ed in colpa per questa sorta di razzismo inconscio che sta prendendo il sopravvento sulla mia di solito tranquilla accettazione delle cose.
eppure spesso mi ritrovo a chiedermi perché la gente che viene a vivere qui non impari a parlare come noi, spesso mi trovo a pensare che siamo sempre meno noi italiani in una determinata zona, mentre abbondano i cingalesi, indiani, cinesi, marocchini, bulgari, slavi e quant'altro in un guazzabuglio etnico che condisce il tanto decantato Melting pot di sapori e profumi di tutto il mondo.
mi ricordo che c'è stato un tempo in cui esaltavo la mia appartenenza al mondo ed ero ben contenta che, avendo un lavoro e non venendo solo ad aumentare la malavita, cosa che possiamo fare benissimo da soli, venissero quanti stranieri volessero in Italia, ad arricchire la nostra cultura di nuovi impulsi e di nuovi stimoli.
che ne è stato di quella giovane idealista? scontratasi con la realizzazione dei suoi desideri si è ritirata nel guscio della sua gretta appartenenza ad una identità nazionale che sente minacciata e che difende con i denti.
è solo la paura quella che mi spinge a reagire in maniera così gretta alla presenza di tanto mondo per le nostre strade? quel furto è stato fatto dagli zingari, quell'incidente è stato causato da un marocchino ubriaco, quello stupro è colpa del gruppo di senegalesi: e noi ci chiudiamo, io mi chiudo, in un isolamento rancoroso, che mi porta a scrutarmi attorno con occhio torvo e con sabbia repressa.
sempre meno poi mi ritrovo a pensare quella non sono io, perché sempre più quelle reazioni, quei sentimenti sono miei, sono io che li provo, non sono input esterni che me li causano.
sono io che provo rabbia perché tutti quegli zingari ai semafori o sulle scale della metro possono far vivere i loro figli nell'indecenza igienica, al freddo ed al pericolo, senza che nessuno dica nulla, mentre una madre italiana se solo viene accusata dalla cucina di non far fare ai figli 5 pasti giornalieri, perché è povera e se ne può permettere solo due, rischia di vedersi sottratti i figli. sono io che provo rabbia perché gli immigrati si danno soldi e case dove stare, anche povere forse, mentre io faccio un lavoro rischioso e stressante per uno stipendio inferiore a quello di chi pulisce le scale, con delle indennità che non vedono aumenti da venti anni e a mala pena riesco a mantenere la mia famiglia con tutti i sacrifici che posso fare.
sono io che provo rabbia perché il lavoro viene offerto di preferenza agli immigrati perché lo accettano anche sottopagato ed a nero, mentre gli italiani sono senza lavoro solo perché chiedono uno straccio di contratto ed uno stipendio che li faccia vivere.
e non mi vengano a dire che "loro" fanno lavori che noi non vogliamo fare: ho raccolto pomodori sotto il sole, uva ed olive insieme agli altri, ho pulito piatti e piegato panni in lavanderia industriale. ho accettato qualsiasi lavoro e a volte mi sono ritrovata fuori dal lavoro proprio perché l'immigrato di turno prendeva meno di quanto prendessi io.
non voglio essere razzista, e mi piace che ci siano persone di altri posti attorno a me, ma mi sento schiacciata dalla massa di stranieri che per strada allungano la mano al mio finestrino, o mi bloccano il passo per vendermi questo o quello.
esistono stranieri qualificati, che vengono in Italia con un lavoro che si rendono produttivi ed entrano a far parte del nostro tessuto sociale, ed io ne sono felice, mi fa piacere scambiare opinioni con loro, acquistare nuovi punti di vista.
ma è l'invasione delle strade, la gente che arriva solo per trascinarsi da un angolo all'altro, che vive nei parchi pubblici che oramai sono solo un fiorire di bottiglie di birra vuote, che si stende ai margini dei marciapiedi per dormire nel sudicio e chiedere l'elemosina.
quel che mi chiedo io è ma stavano così male nel loro paese da preferire di venire ad elemosinare nel nostro? carità per carità quella del loro paese non era come la nostra?
forse è solo inquietudine, forse è paura... non so.
dopo il furto da parte degli slavi che ci fu a casa nostra, a Grosseto, dopo tre anni in questo posto in cui ho visto di tutto, forse è saturazione.

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